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Oggi voglio parlarvi di un argomento un po’ delicato, definiamolo cosi, che però mi sta molto a cuore: la piaga dei tartufi esteri. La tematica è un po’ spinosa ed è pur vero che non tutti sono esperti del settore e possono conoscere ogni sottigliezza del mondo dei tartufi. Ecco perché Lady Truffle vi apre un po’ gli occhi e vi racconta qualcosa in più! Vi assicuro che conoscere questo tema vi permetterà di apprezzare ancora di più la qualità, il valore e la tracciabilità dei nostri tartufi. E per “nostri” intendo dei nostri amati tartufi italiani.

Tartufi esteri: cosa accade nello specifico?

Dovete sapere che decine di tonnellate di tartufo a settimana vengono esportate da paesi come Bulgaria, Romania, Serbia, Iran, Croazia, Cina, giusto per citarvene alcuni, per poi finire sulle tavole dei ristoranti di mezza Europa, compresa l’Italia, nell’ignoranza (quasi) totale dei ristoratori e dei clienti finali. Sappiamo tutti che non costituisce alcun “misfatto” importare tartufo estero, il tartufo non cresce solo in Italia ma anche in altre zone del mondo. La Croazia ne è ricca ad esempio, specialmente di tartufo bianco, Bulgaria e Romania altrettanto, la Cina si è specializzata nel tartufo nero pregiato e cosi via.

Insomma cosi come esistono funghi porcini non italiani, pesce di importazione e non dei nostri mari, esiste anche il tartufo straniero. Fin qui tutto a norma, quello che però non è corretto è “spacciare” tutte queste (e molte altre) materie prime, per italiane! Compreso il tartufo. E’ come se seduti al ristorante ordinaste un’orata del “pescato del giorno” che poi in realtà era di allevamento e/o importata. Il principio è lo stesso. Come vi sentireste? Ve lo dico io, fregati!

Tartufo Lady Truffle
Tartufo Lady Truffle

Ecco qui che anche per il tartufo ci possiamo imbattere nella perfetta copia, ad esempio, del nostro (mio di sicuro) amato tartufo nero pregiato (tuber melanosporum) tipico delle zone dell’Umbria, Lazio, Molise, Abruzzo, che invece proveniente dalla Cina prende il nome di “Tuber Indicum” praticamente identico al nostro, se non fosse che è completamente insapore. Ma mischiato in mezzo al nostro nero pregiato riesce a carpirne l’odore e “confondersi” tra gli altri. Come riconoscerlo? Ha qualche venatura rossa in meno, rispetto al nero pregiato italiano, ma vi assicuro che potrebbe ingannare anche i più esperti.

Vogliamo parlare del tartufo bianco bulgaro? Molto simile al tartufo italiano per aspetto esterno ma a sapore e aroma non c’è paragone, il nostro “Magnatum Pico” (bianco pregiato) è invariabile! Vi svelo un altro segreto: ogni pianta e ogni zona tartufigena italiana conferisce al tartufo un sapore e un aroma diverso. Questo è il motivo per cui ad esempio un tartufo estivo abruzzese è diverso da quello veneto o laziale, mentre il bianco pregiato scovato nei pressi di una roverella è diverso per aroma e forma da quello trovato nei pressi di un tiglio. Potete immaginare ora quanto un tartufo estero possa essere distante dal vero tartufo italiano con la “T” maiuscola?

Perché vi sto raccontando tutto questo?

Perché per il tartufo vige una legge dalla quale (raramente) si sfugge, ossia la legge della domanda e dell’offerta. Cosa significa? Che ad incidere sulle quotazioni del tartufo sono la richiesta di chi desidera acquistarlo e l’offerta, ovvero la reperibilità, quindi quanto tartufo realmente viene cavato e si trova in una specifica stagione. Se la “reperibilità” del nostro tartufo italiano viene minata dall’importazione di tartufo estero, tutti gli equilibri si inclinano.

Per cui vi do un consiglio diffidate quando il tartufo costa come il prezzo della bresaola! Per certe materie prime d’eccellenza, risparmio non è quasi mai sinonimo di buon affare, anzi. La fiducia, la tracciabilità e l’etica devono essere sempre la base di partenza per offrire e acquistare questo prezioso diamante della terra che ci viene invidiata da tutto da tutto il mondo!

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